Posto dunque sono

Quando la realtà virtuale vissuta agli eccessi diventa linfa vitale

“I tre mali dell’uomo attuale sono la non comunicazione,la rivoluzione tecnologica e la sua vita incentrata sul trionfo personale”    [J. Saramago]               

Molti di noi si saranno chiesti come mai alcune persone “vivono” sui social, mostrando ogni istante della propria vita, comprese sfumature intime che forse agli altri non interessano minimamente. Per comprendere questo fenomeno, partiamo dalla premessa che, nel tempo, lo sviluppo sociale ha portato con sé degli importanti cambiamenti qualitativi all’interno del panorama relazionale. All’interno di questo sviluppo un fattore di fondamentale importanza è il progresso tecnologico, che ha apportato modifiche sostanziali nella vita pubblica e privata delle persone, nel modo di relazionarsi, di conoscere gli altri e se stessi, di presentarsi, di cercare lavoro, di acquistare beni, ecc.

Nella relazione con gli altri emergono degli aspetti di sé che altrimenti resterebbero latenti. La persona si manifesta più pienamente all’interno delle relazioni e, oltre a conoscere l’altro, impara a conoscere meglio se stesso. Se possiamo fare tali considerazioni per la vita “reale”, come si declina tutto ciò nella vita “virtuale”?

Nella vita “virtuale” probabilmente sarà più facile notare aspetti della persona che emergono in maniera più evidente attraverso il modo di stare sui social, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Dunque, che caratteristiche hanno le persone che tendono a mostrare tutto di sé su tali piattaforme e come mai lo fanno?

Proviamo a fare qualche riflessione rispetto a quelli che potremmo definire come eccessi nella realtà virtuale.

Un fenomeno che possiamo riscontrare sui social è il mettersi in mostra, talvolta eccessivamente ed in maniera egocentrica. Ma cos’è l’egocentrismo? Si tratta di una fase dello sviluppo sano del bambino che inizia verso i 2-3 anni e subisce dei cambiamenti con la crescita. Man mano che emerge il pensiero intuitivo e più avanti si fa strada la capacità di pensiero induttivo, la fase del pensiero egocentrico viene superata.

È un modo di pensare e comportarsi, un vero e proprio atteggiamento caratterizzato da una carente teoria della mente, ovvero una carente capacità di attribuire pensieri, stati mentali, emozioni a se stessi e agli altri e quindi di comprendere che dietro un comportamento altrui possono esserci delle intenzioni anche totalmente differenti dalle proprie.

Egocentrismo rimanda dunque a caratteristiche infantili, a bisogno di attirare attenzione su di sé senza far caso agli altri, a mettere i propri bisogni e problemi davanti a quelli altrui. Questo avviene per un preciso motivo, ovvero per ricercare conferme della propria identità. Il bambino per attirare l’attenzione e per ottenere ciò che vuole, in accordo con il suo egocentrismo, urla, scalcia, insulta, fa i capricci, tutte cose che in forma differente possiamo vedere ogni giorno sui social, ma la sostanza in definitiva non cambia.

Ma se l’egocentrismo è una fase dello sviluppo del bambino, come mai vediamo persone adulte che presentano caratteristiche tipiche dell’età infantile?

Alcuni adulti utilizzano modalità egocentriche tipiche dell’infanzia per rapportarsi agli altri, il pensiero egocentrico diventa così il modo di leggere la realtà interpersonale. L’adulto egocentrico non contempla affatto che gli altri possano pensarla in maniera differente da sé e questo sui social lo vediamo palesato, per esempio, negli insulti agli altri che hanno una visione differente dalla propria, oppure nel porre il proprio modo di leggere la realtà come la verità assoluta. Tale atteggiamento di fatto porta a una profonda solitudine legata a mancanza di reciprocità relazionale. Questi, all’estremo, sono atteggiamenti patologici che sottendono un forte senso di inferiorità e sono una forma di compensazione ed esso. Dietro l’immagine grandiosa di sé che appare agli altri, può esserci una persona che si auto-svaluta costantemente e che per non soccombere ha bisogno di mostrarsi agli altri diversamente da come crede di essere. Gli insulti a chi ha una visione differente dalla propria, l’arroganza, il disprezzo verso gli altri, il bisogno di stare al centro dell’attenzione visibili in alcuni post sui social, possono essere attribuiti alla credenza di dover ottenere trattamenti particolari e di non essere contraddetti. Quando ciò non avviene emerge una forte rabbia legata alla sensazione che questo sé grandioso possa essere danneggiato. Sé grandioso che compensa un forte senso di inferiorità e che, per restare in piedi, ha bisogno di continue conferme esterne.

Altra caratteristica tipica di chi cerca approvazione in maniera spasmodica mediante i social è una personalità con tratti narcisistici. Il narcisista, infatti, si nutre dell’approvazione altrui per confermare il proprio senso di grandiosità e di superiorità sugli altri.

Nella continua e strenua ricerca di conferme dall’esterno del proprio valore personale sui social, è forte il rischio di confondere o sovrapporre la realtà virtuale alla realtà vissuta, oltre al rischio di attribuire un valore totalizzante per la persona ad ogni apprezzamento o commento. Di qui una sorta di spersonalizzazione legata ad una mancanza di confini tra privato e pubblico, tra reale e virtuale, tra realtà vissuta e realtà postata, tra sé e gli altri. La difficoltà di mostrarsi autentici nella realtà trova un riscontro nella possibilità di mascherarsi dietro uno schermo e collude con la finzione del virtuale. Ciò che appare è perfetto, come l’immagine magnifica di sé.

Ma quale sarà l’esito del confronto tra virtuale e reale?

La difficoltà di comunicare in maniera autentica e assertiva con gli altri, la mancanza di una conoscenza autentica di sé e degli altri, un isolamento sociale che diventa direttamente proporzionale alla presenza sui social.

Attualmente si parla sempre più di social media addiction, una vera e propria dipendenza con le medesime caratteristiche delle altre dipendenze: tolleranza e assuefazione (adattamento e bisogno sempre maggiore di stare connessi), astinenza (senso di malessere quando per esempio non è possibile essere connessi) e craving (desiderio irrefrenabile, pensiero fisso e impulso a connettersi).

Parafrasando la locuzione cartesiana “cogito ergo sum” (penso dunque sono), con la quale il filosofo giustificava la certezza che l’uomo è un essere pensante e in quanto tale esiste, potremmo dire che attualmente, purtroppo, l’esistenza è sempre più legata all’apparenza, all’approvazione altrui e alla presenza nella realtà virtuale, per cui potremmo dire “posto dunque sono”.

Gli eccessi trattati sopra, in quanto tali, rimandano a condizioni estreme, utili tuttavia per capire alcune sfaccettature del fenomeno sempre più dilagante dell’eccessiva esposizione sui social. Prendendo spunto da queste riflessioni, possiamo soffermarci a pensare alla bellezza che si contempla nella vita reale, senza la necessità del filtro di una fotocamera e senza farsi condizionare dal bisogno di approvazione di ciò che si fa tramite le continua condivisione su internet. Partendo dalla consapevolezza che certi comportamenti eccessivi hanno delle motivazioni profonde per la persona, è possibile favorire il superamento di tale condizione di disagio favorendo la conoscenza di sé, la creazione di relazioni reali e sane, nonché una vera e propria educazione all’empatia.

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